Dedicato alla mia nonna (e a tutti i nonni) che il Covid-19 ha portato via
FIRENZE – Mi chiamo Virginia ed ho 26 anni. Fino ad un mese fa facevo progetti. Vivevo con mia mamma, mio padre, mio fratello e mia nonna e le nostre vite procedevano normalmente.
Tutto inizia il 21 marzo 2021 quando uno di noi dice che ha un po’ di mal di gola. Afferma di aver preso una frescata ma dentro di me c’è qualcosa che mi fa pensare subito al Covid. Progressivamente in famiglia iniziamo ad avere qualche linea di febbre e tosse. La paura comincia ad essere sempre più reale. Mia nonna non ci vuole credere e dice: «Io sto bene, invece voi siete usciti e avete preso freddo».
TAMPONE POSITIVO
Quanto avrei voluto che queste parole fossero state la realtà. Invece il 26 marzo arriva l’esito del primo tampone: “RILEVATO”. Il panico si impossessa di questa casa. Mi ritrovo nella mia stanza con la febbre a piangere e a pensare a tutto quello che avevo letto, visto e sentito da un anno a questa parte e a come era potuto succedere a noi, sempre così attenti e scrupolosi, come era entrato in casa questo maledetto virus.
Per una settimana sono io a dovermi prendere cura degli altri quattro componenti la famiglia, perché io, nonostante la febbre e altri sintomi, sono quella che sta meglio: preparo il pranzo e la cena, distribuisco le varie medicine, faccio lavatrici e lavastoviglie e pulisco per quanto mi è possibile la casa. Ogni giorno per 24 ore al giorno sento la mia famiglia, le persone più importanti per me, tossire tutto il tempo. Una tosse così profonda e continua che, ogni volta che la sento da qualcuno di loro, è come se venisse anche da me. Sento i miei stessi polmoni soffrire. Un suono che sarà difficile da dimenticare. Ma l’incubo vero deve ancora arrivare.
TROPPE AMBULANZE
È il 2 aprile e mio padre, che non parla da tre giorni a causa della tosse e già con l’ossigeno, dice: «Chiamate un’ambulanza perché non sto bene». Dopo venti minuti va via di casa mentre noi lo salutiamo tra lacrime e disperazione.
Il giorno dopo vengono i medici a visitarci e ci dicono che anche la nonna deve andare all’ospedale perché ha un’insufficienza respiratoria. È disidratata ed ipotesa. Mentre aspettiamo l’ambulanza, la dottoressa e il team dell’Usca restano con noi e ci fanno forza. Poi salutiamo anche la nonna convinti che sarebbe andato tutto bene e l’avremmo rivista. L’ abbracciamo, le diciamo di stare tranquilla e che le vogliamo bene.
La sera stessa mia mamma inizia a sentirsi poco bene, siamo rimasti in tre e l’unica cosa che riusciamo a fare è guardarci negli occhi. C’è solo paura e disperazione. E piangere. La mamma riesce a superare la notte ma il giorno dopo anche per lei chiamiamo l’ambulanzamentre io ripeto a me stessa: «Non portatemi via anche mia mamma…». Si chiude la porta di casa ed ecco che rimaniamo io e mio fratello da soli. Questa è stata la nostra Pasqua 2021.
Una famiglia, tre ospedali
Da subito sono tempestata di telefonate da parenti, amici e dottori. L’unica cosa che capisco è: «Fatti forza per loro, adesso tocca a te essere forte». Vado avanti così giorno dopo giorno perché loro hanno bisogno di me ed io non posso cedere. La casa la gestiamo io e mio fratello, nonostante le poche forze e la malattia che continua a farci sentire la sua presenza.
Tre volte al giorno sento al telefono la nonna e le parlo di tutto. Cerco di tranquillizzarla e le do coraggio perché sta andando bene.
Il babbo inizio a sentirlo dopo una settimana perché prima sta troppo male. Mia mamma inizia a scrivermi alle cinque di mattina e finisce a mezzanotte. Prendo le chiamate dei dottori della mamma e della nonna e poi riferisco le notizie ai parenti e amici.
Ogni notte mi addormento con la paura di ricevere una chiamata e mi sveglio la mattina facendomi forza. «Un altro giorno per loro significa un giorno in meno per il virus» ripeto convinta.
Leonessa ferita
Dopo due settimane di ospedale la mamma torna a casa con l’ossigeno ed il babbo con una paralisi del nervo centrale che non gli permette di camminare bene. Sono contenta eccome di riaverli a casa. Manca però un pezzo. Manca la mia nonna. In quei giorni ci dicono che sta peggiorando, ha dovuto mettere la maschera a pressione e le sue chiamate sono di disperazione pura. Passano altri giorni e ci sembra di stare sulle montagne russe. In alcuni giorni sta meglio. Riusciamo a sentire la sua voce ed il suo «voglio tornare a casa». In altri giorni invece le sue condizioni peggiorano. I dottori ci dicono che lotta come una leonessa. Ma non basta.
Arriviamo al 22 aprile quando ci chiamano perché la nonna ha avuto un brutto peggioramento. Lei ci chiama la sera disperata e con un filo di voce. Sono io a parlarle e dirle che deve stare tranquilla che è solo un peggioramento temporaneo e che succede. Deve resistere. Lei mi dice solo una cosa: «non ce la faccio più». Quella è stata la sua ultima telefonata perché il 27 aprile mia nonna ci lascia per sempre dopo aver combattuto per un mese con questo maledetto virus. Voleva semplicemente ritornare a casa da noi ed invece il Covid non l’ha risparmiata. Così in un mese, dall’oggi al domani, ha deciso di portarcela via e non siamo nemmeno riuscita a salutarla, a parlarle o a rassicurarla per l’ultima volta. Semplicemente è andata via, per sempre. E con lei la sua libertà di vivere serena in mezzo a noi. E per noi la libertà di dimostrarle il nostro amore.
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P.S.: Non avrei mai pensato di scrivere una lettera così. Poi mi sono convinta a farlo per dare una testimonianza. Per fermare con la carta e penna momenti che probabilmente tante altre famiglie come la mia hanno vissuto o stanno ancora vivendo. Non le conosco, ma potrà servire a sentirci meno soli. Forse.
Andrea
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Cara Virginia, brava. Dobbiamo guardare avanti. La Nonna vi proteggerà da Lassù. Un abbraccio.
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